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Conosciamo la storia del Patchwork n° 4

Conosciamo la storia del Patchwork n° 4

  • Posted by Nadia Bove
  • On 9 Ottobre 2020
  • 0 Comments
  • Appliquè, Patchwork, Sashiko, Yoko Saito

Riprendiamo le fila del discorso; nell’articolo precedente avevamo cominciato a parlare della tecnica dell’Appliquè e siccome l’argomento è molto vasto e vario voglio incuriosirvi con un’altra sfaccettatura di questa tecnica. Le tecniche giapponesi.

Partiamo sempre dal presupposto che tutte queste tecniche nascono da esigenze reali di vita quotidiana, non smetterò mai di dirlo risultando ripetitiva, ma è fondamentale questo concetto.

Tecnica Sashiko

Il Sashiko è un’antica e tradizionale tecnica di cucito giapponese, nata in Giappone e tra il 1615 e il 1868. Divenne in poco tempo una delle arti manuali più conosciute e popolari del Giappone. La tecnica era anticamente usata per l’assemblaggio di pezzi di tessuto ancora utilizzabili o il rammendo di kimono usurati, chiamati Boro Boro, da cui nasce il Boro Sashiko.

Il Sashiko è una tecnica di trapuntatura nata per rinforzare o riparare stoffe; con punti filza si creava un tipo di stoffa adatta a molti usi, in particolare la confezione di uniformi per i vigili del fuoco (impregnate d’acqua prima di spegnere gli incendi). A scopo decorativo come abbellimento per Kimono, tendaggi, copriletto etc.

Nel Sashiko sono racchiusi i tipici principi estetici ed etici della cultura giapponese, come la bellezza dell’imperfezione, la sobrietà, ma anche il minimalismo e la semplicità, il cosiddetto wabi-sabi (侘寂)

Un aspetto importante di questa filosofia è l’avversità allo spreco e l’attenzione alle risorse, al riuso di oggetti e tessuti d’uso quotidiano, ossia al «riciclo».

Tecnica Atarashii

Si chiama patchwork giapponese oppure origami di stoffa e si fa con la tecnica atarashii, meglio conosciuta come tecnica del quilting a cattedrale o patchwork circolare.

Il motivo è che il patchwork atarashii si crea costruendo disegni geometrici con pezzi di stoffa rotondi e quadrati incastonati l’uno sull’altro come pezzi di una cattedrale. E’ una tecnica versatile e pratica che può essere realizzata anche da chi non sa cucire a macchina perche interamente cucita a mano.

Appliquè giapponese

L’Appliquè Giapponese arriva a noi attraverso una quilter molto conosciuta e apprezzata nel mondo, Yoko Saito.

Yoko Saito nasce a Ichikawa, (Tokyo) da sempre appassionata di cucito creativo, si afferma presto come artista e inizia a produrre manufatti spettacolari cuciti interamente a mano.

I lavori, che sono tipicamente giapponesi, si caratterizzano dalla scelta di tessuti detti “tinti in filo” con tonalità pastello. Per realizzarli occorre tanta pazienza, molto spesso si tratta di piccoli soggetti: fiori, uccellini, casette, vegetazione, paesaggi naturali, la cui lavorazione richiede una particolare tecnica e tanto amore per il cucito a mano. La particolare cura per i dettagli, la scelta delle stoffe, l’abbinamento dei colori, la progettazione e il design, rendono unici i suoi progetti.

Yoko Saito non realizza solo progetti in stoffa, ma tiene corsi in tutto il Giappone, esportando la sua arte anche nel resto del mondo; ha pubblicato moltissimi libri spiegando dettagliatamente la sua tecnica, sono scritti in giapponese, ovviamente, e tradotti anche in inglese, spagnolo e francese, ma niente paura perchè possono essere usati anche da chi non conosce queste lingue, le descrizioni grafiche sono talmente accurate da non incontare nessuna difficoltà.

Mi rendo conto che abbiamo solo scalfito l’argomento, ma spero di avervi incuriosito facendovi intravedere questo mondo poco conosciuto e relegato ad una nicchia di persone, ma so, per esperienza personale, che può essere molto gratificante ed appagante conoscere questa arte un pò sottovalutata.

Fonti storiche e foto prese dal web

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