Basquiat, carne da macello per un mercato impazzito
- Posted by Cristina Catenacci
- On 11 Giugno 2021
- 6 Comments
- Basquiat, Keith Haring, Mudd Club, musica, New Wave, New York, pittura, Samo, underground, Warhol
Mi trovo ancora una volta a raccontare la storia di un genio dell’arte morto prima di compiere trent’anni.
Per l’esattezza Jean-Michel Basquiat, quando muore (per una intossicazione da stupefacenti o overdose), di anni ne ha appena 27.
La sua attività è dunque racchiusa in una decina d’anni, un tempo brevissimo. Eppure, nei pochi anni che ebbe a disposizione, riuscì a lasciare un’eredità tanto consistente da bastare per una vita intera.
Giovane e dannato, un cliché difficile da staccarsi di dosso e che ancora lo accompagna, l’alone romantico della genialità unita alla sregolatezza.
Per cercare di capire il meccanismo che ha portato Basquiat dal paradiso all’inferno, oltre alla sua innata e personale tendenza autodistruttiva, bisogna innanzi tutto conoscere il contesto in cui si svolge la sua storia.
Lo scenario è quello della New York della fine degli anni Settanta, una metropoli in default finanziario che offre prospettive brillanti ai giovani artisti. Infatti, se da un lato a causa della violenza, dei furti e delle rapine la città si svuota della popolazione appartenente al ceto medio-alto, dall’altro il prezzo per l’affitto di un di un loft a Soho è straordinariamente conveniente. Così la città si riempie di artisti, musicisti e poeti e, invece di morire, torna alla vita.
Ma, come api sul miele, attorno agli artisti si nutrivano e crescevano i mercanti d’arte.
In quegli anni, infatti, il mercato dell’arte viveva un vero e proprio boom. Era ritenuto molto chic possedere opere d’arte e queste divennero una forma di investimento al pari di titoli e azioni, spesso prescindendo da quello che era il loro reale valore artistico.
L’arte diventò un elemento fondamentale dello stile di vita e i collezionisti compravano tutto quello che i galleristi presentavano e descrivevano come il “meglio” in assoluto.
Questa frenesia d’acquisto era tale che alcuni tra gli artisti più titolati, come Keith Haring, istituivano vere e proprie liste di attesa a cui i potenziali compratori dovevano iscriversi.
Le conseguenze furono catastrofiche, sia per la vita che per le opere degli artisti: infatti se prima il segno di massimo prestigio era la collocazione di una propria opera all’interno di un museo, ora tutti pensavano esclusivamente a vendere e a farlo il più in fretta possibile.
Basquiat fu l’unico artista nero ad accedere all’olimpo delle star fra i pittori internazionali e gran parte del suo successo finanziario e del suo fallimento è da ricondursi proprio al colore della pelle e al razzismo della scena artistica newyorchese.
Ma facciamo un passo indietro.
Jean-Michel Basquiat nasce a Brooklyn il 22 dicembre del 1960.
Il padre, ragioniere, era originario di Haiti e la madre, invece, era nata a Brooklyn da genitori originari di Porto Rico. Nel 1963 e nel 1967 nascono le sorelle Lisane e Janine.
La mamma, che parla inglese e spagnolo, insegna al figlio entrambe le lingue ed è solita visitare con lui i musei della città.
A sei anni scrive un libro per bambini insieme a un compagno di scuola e disegna assiduamente, ispirandosi ai fumetti e ai cartoni animati.
Quando ha sette anni, un terribile incidente (viene investito da un’automobile) lo costringe in ospedale e a letto per diverse settimane. Sua madre gli regala una copia del libro di anatomia “Gray’s Anatomy”, per spiegargli cosa è successo al suo corpo. Questo libro, come le auto e i giochi in strada, ha un ruolo fondamentale nella vita di Basquiat, tanto che le parti del corpo, con i loro nomi scientifici, si sarebbero ripresentate in tutta la sua opera. Inoltre questo interesse per l’anatomia lo porterà a studiare i disegni anatomici di Leonardo da Vinci.
Il nome “Gray” sarà anche quello della sua band musicale.
La sua carriera scolastica è un disastro, scappa ripetutamente di casa e cambia più volte scuola.
Nel 1977 si iscrive alla City.as-School di Manhattan, una scuola per bambini dotati ma problematici, dove conosce Al Diaz e con lui dà vita a SAMO (The Same Old Shit, una frase usata negli ambienti studenteschi), un acronimo, spesso accompagnato dal simbolo del copyright, con cui firma frasi enigmatiche spruzzate con la bomboletta spray sui muri del quartiere e strategicamente vicino alle gallerie d’arte.
Nel 1978 abbandona definitivamente la scuola senza conseguire il diploma e, non ancora diciottenne, lascia per sempre anche la famiglia e comincia a vivere nei parchi e a dormire sui divani degli amici che lo ospitano.
Il 1978 è l’anno in cui esplode SAMO, le sue scritte cominciano ad attirare l’attenzione della gente e il “Soho News” inizia a pubblicarne le foto.
Purtroppo le scritte oggi sono quasi tutte scomparse, eccetto alcune che furono staccate e vendute.
“SAMO come nuova forma d’arte. SAMO come la fine della religione che ti lava il cervello, della politica inconcludente e della falsa filosofia. SAMO salva gli idioti. SAMO come alternativa a Dio. SAMO come la fine del fare arte. SAMO come la fine del punk in vinile. SAMO come espressione dell’amore spirituale. SAMO per la cosiddetta avanguardia. SAMO come alternativa al fare arte con la setta radical-chic finanziata dai dollari di papà. SAMO come la fine dei confini dell’arte.”
Nello stesso periodo crea cartoline artistiche a colori usando la fotocopiatrice e disegna magliette che vende per strada.
Un giorno vede Andy Warhol in un caffè e trova il coraggio di entrare e vendergli due cartoline.
Basquiat frequenta il Mudd Club, un locale il cui cofondatore è il gallerista Diego Cortez e che diventa ben presto un luogo di ritrovo per tutti coloro che vogliono essere famosi o lo sono già, da David Byrne a Brian Eno, da Iggy Pop a David Bowie, a Sid Vicious, a Klaus Nomi, una delle stelle più brillanti della new wave tedesca. Qui conosce anche Keith Haring.
In questo e in altri locali suona con la sua band, i Gray, di cui fanno parte Michael Holman, Danny Rosen e Vincent Gallo.
Poi, prima ancora di diventarlo, interpreta se stesso come leggenda nel film New York Beat, scritto da Glenn O’Brian, dove recita la parte di un artista sconosciuto che vive per strada senza obbiettivi precisi ma che riesce a conquistare la fama. Il protagonista accompagna lo spettatore attraverso gli ambienti underground di New York, purtroppo senza la vera voce di Basquiat, poiché, quando nel 2000 finalmente il film esce nelle sale, con il titolo di Downtown 81, è necessario un nuovo doppiaggio.
Da questo momento in poi, l’ascesa di Basquiat è rapidissima.
Dopo la rottura con Al Diaz decide di abbandonare i graffiti e ovunque a Soho compare la scritta “Samo is dead”. Contemporaneamente Keith Haring tiene un discorso funebre su Samo al Club 57, un altro dei locali underground più frequentati.
Siamo nel 1980, Basquiat ha vent’anni e partecipa alla prima mostra collettiva Times Square Show, dove viene subito notato dai critici che lo vedono come un talento promettente.
L’anno successivo partecipa a una seconda collettiva New York/New Wave , organizzata da Diego Cortez nel P.S1 di Long Island, un luogo all’epoca già leggendario, che riesce a riunire l’intera scena alternativa newyorkese.
La mostra riunisce 1600 opere di 119 artisti e musicisti, ci sono Chris Stein dei Blondie, Alan Vega dei Suicide, David Byrne dei Talking Heads e anche autori di graffiti come Quinones, Rammelzee, Futura 2000 e Daze.
Basquiat espone 15 opere che in parte ricordano disegni infantili, automobili, aerei, figure umane schematiche, uniti a lettere.
Dopo questa partecipazione Basquiat conquista già l’interesse di alcuni tra i più importanti galleristi mondiali, quali Bischofberger e Annina Nosei: praticamente in meno di un anno da quando ha cominciato a dipingere i suoi primi veri quadri, ha già trovato agenti del massimo livello e le sue opere vengono vendute a prezzi considerevoli.
La sua prima mostra personale è proprio in Italia e precisamente a Modena nel maggio del 1981, presso il gallerista Emilio Mazzoli. In questa occasione usa ancora lo pseudonimo Samo. Il contatto con Mazzoli, che acquista subito alcune sue opere per un valore complessivo di circa 10000 $, avviene sempre per tramite di Diego Cortez che porta il gallerista italiano e Sandro Chia in visita al loft nella 36th Avenue, in cui Basquiat vive all’epoca.
E’ comunque Annina Nosei la prima gallerista professionista a occuparsi di lui lanciandolo come il più giovane esponente dei “neoespressionisti”.
La Nosei gli offre lo scantinato della sua galleria newyorkese come studio, con l’accordo che l’avrebbe ripagata con le vendite delle sue opere.
Fiutando l’enorme affare che ha tra le mani e l’ingenuità del giovane Jean-Michel, la Nosei vende di propria iniziativa opere che l’artista non considera ancora finite.
Da questo momento in poi la sua carriera segue una parabola rapidissima, da graffitista da marciapiede a star i cui dipinti vengono venduti tra i 5000 e i 10000 dollari, che lui stesso non riesce a controllarla.
Nell’ottobre del 1981 la galleria Nosei organizza una mostra collettiva “Pubblic Address” a cui partecipano numerosi artisti di fama ormai conclamata, tra i quali Keith Haring, e il vernissage riunisce gli esponenti più in vista della scena artistica alternativa. Durante tutto l’evento Basquiat ascolta il walkman, quasi senza considerare gli invitati, con un distacco che sembra voler rimarcare le distanza che fino ad un attimo prima divideva il suo mondo, quello della strada, (anche se in realtà proveniva da una famiglia della media borghesia), da quello radical chic del mondo dell’arte.
Ormai è famoso e, poco dopo questa esposizione, il critico d’arte René Picard lo intervista nell’articolo “The Radiant Child”, che, uscito sulla rivista Artforum, contribuisce ad accrescere la sua popolarità.
Picard inserisce l’opera di Basquiat in una tradizione storico-artistica piuttosto ampia, che comprende Cy Twombly e Jean Dubuffet, asserendo che soprattutto per la combinazione di immagine e testo si può trovare l’influenza di Twombly, anche se per stile ed espressione ne rimane molto lontano. I paralleli con Dubuffet sono forse più evidenti, specie nelle opere del 1981-’82, ispirate alla vita nelle metropoli. Infatti se si guarda l’opera di Dubuffet tra il 1945 e il ’46 si può notare che trae diretta ispirazione dalle scritte sui muri di Parigi e nel caso di Basquiat sappiamo che proprio i muri fornirono la sua prima base pittorica.
Comunque sia Basquiat ha sempre affermato che, a quell’epoca, non sapeva nemmeno chi fossero questi due artisti.
Piuttosto bisogna dire che, in questo primo periodo, la sua pittura è fortemente influenzata dai mass media e in particolarmente dai cartoni animati come Popeye, Mad, Batman e Superman.
Il dipinto “Sheriff”, del 1981, potrebbe rappresentare la riproduzione di una striscia di fumetti.
In un secondo soggiorno a Modena, nel 1982, Mazzoli lo costringe a lavorare sotto pressione, fornendogli tele e materiali in enorme quantità, nella speranza di vendere più opere possibili.
Presto Basquiat si rende conto che, accanto al valore ideale che vuole trasmettere nelle sue opere, queste sono comunque viste dal suo entourage soprattutto come prodotti di valore finanziario.
Talmente è forte l’avversione nei confronti della commercializzazione selvaggia della propria arte che, nel quadro del 1982 “Five Thousand Dollars”, sul fondo bruno è indicato, in lettere e cifre, solo il suo valore economico. Qualsiasi plusvalore artistico è eliminato. Le sue parole sono sia una critica alla mercificazione dell’opera d’arte, sia la trasformazione miracolosa di un materiale e di un gesto in un oggetto di valore reale.
I galleristi come Mazzoli, Nosei e Birschofberger continuano a vendersi tra di loro i dipinti, facendone lievitare i prezzi.
Alla mostra personale da Larry Gagosian, nell’aprile del 1982 a Los Angeles, la sera dell’inaugurazione erano già state vendute tutte le sue opere esposte.
Quando Basquiat dipinge la figura umana, come nei molti autoritratti con la testa coronata da treccine, vediamo quasi sempre le braccia alzate come quelle di un combattente, come gli eroi afroamericani da lui venerati, sportivi e musicisti, tutti costretti a subire la società bianca.
La sua pittura diviene così rabbia e ribellione, “uso il nero come protagonista, perché sono nero”. La regalità, l’eroismo e la strada sono i suoi temi preferiti, sono la sua visione del mondo e rivelano la relazione che ha con l’esterno.
Già prima di recarsi in Africa per un’esposizione, Basquiat si avvicina alle proprie radici anche studiando su testi come African Rock Art Burchart Brentjes e su immagini simboliche e archetipe come Il Re della Luna.
Nei suoi dipinti l’assenza di prospettiva è totale, la visione è frontale e lo stile oscilla tra espressionismo e “primitivismo”, con tratti talvolta infantili e però sempre con un suo inconfondibile tratto distintivo. Tutto questo lo consacra a pieno titolo come uno dei protagonisti più interessanti dell’arte contemporanea che discende direttamente dalle avanguardie del Novecento, dalla scarnificazione della figura di Paul Klee per arrivare all’Informale americano e all’Action Painting di Pollock.
L’energia espressiva di Basquiat sembra sempre strettamente legata al suo forte disagio esistenziale, in una intervista del 1983 dirà che l’80% dei suoi dipinti è animato dal sentimento della rabbia, come nel famoso Jimmy Best, del 1981, un testo immagine che è la concisa biografia di un nero:
Jimmy Best
on his back to
the suckerpunch
of his childhood files
René Ricard interpreta così la poesia:
“Come ti potrà raccontare chiunque abbia passato del tempo nel riformatorio di Riverhead, i neri e i latino-americani più intelligenti, più forti, più decisi, più acuti e più grossi erano sempre, sistematicamente, messi al fresco e indeboliti attraverso le condizioni di prigionia più dure. Il presupposto è che devono sottometterti quando sei giovane. Jimmy (the best) non riuscirà mai più a dimenticare il suo arresto (suckerpunch) come giovane criminale (childhood files): la sua vita è distrutta dal sistema carcerario, che trova in sé la propria conferma. Questa è la prima esperienza dell’uomo nero con la giustizia bianca”.
In altri dipinti denuncia le ingiustizie e i soprusi subiti dalle persone di colore nella storia e nel presente, un tema che sente fortemente, lamentando di non riuscire a fermare un taxi, persino quando è già famoso.
In tutta la sua arte è sempre presente questo forte richiamo all’identità nera, anche se lui avrebbe voluto essere semplicemente un artista famoso e non un artista nero famoso.
Così dipinge incessantemente atleti e musicisti neri.
Omaggia Charlie Parker, con il dipinto Charles the First, del 1982.
E’ nel marzo del 1983 il momento in cui riceve la consacrazione degli ambienti museali ufficiali, che ha a lungo ricercato.
Infatti viene scelto per esporre alla Biennale del Whitney Museum, insieme ad Haring, David Salle, Barbara Kruger, Cindy Sherman e Jenny Holzer.
Con i suoi 22 anni è il più giovane tra gli artisti in mostra.
Alla cena che segue l’inaugurazione della mostra, conosce Mary Boone, che lo rappresenterà per oltre due anni, insieme a Bischofberger.
In questo stesso periodo comincia a frequentare Andy Warhol.
La popolarità di Warhol è in declino e pensa che Basquiat possa dare alla sua carriera un nuovo slancio.
Per un periodo i due sono inseparabili, insieme si recano ai vernissage, insieme frequentano i centri fitness e i club, insieme viaggiano all’estero.
La collaborazione con Warhol è per Basquiat molto importante, sia dal punto di vista umano che professionale.
Nel confronto tra la disciplina di Warhol e le esuberanze di Basquiat si delinea infatti quel rapporto padre-figlio che quest’ultimo persegue da sempre.
Anche per Warhol si dimostra un’ esperienza formativa, come racconta lo stesso Basquiat : “Ero io ad aiutare Andy Warhol a dipingere! Erano passati vent’anni dall’ultima volta che aveva preso un pennello in mano.”
A sua volta il giovane artista impara dal re della Pop Art l’uso decorativo del colore e questa consapevolezza più pittorica diviene visibile specie negli ultimi anni del suo lavoro.
Purtroppo Basquiat non riuscirà mai a raggiungere una propria autodisciplina e nemmeno riuscirà a controllare il proprio lavoro essendo in realtà dipendente dal mercato dell’arte che, come lo ha creato, altrettanto rapidamente può cancellarlo.
Tutta la sua vita è una lotta continua contro la solitudine, la droga e la paura di non essere più famoso.
Teme che i suoi amici e le sue ex fidanzate possano vendere le opere che ha regalato loro e spesso pretende di riaverle, come accade con la cantante Madonna.
L’apogeo della fama di Basquiat coincide anche con la sua rapida fine, consumato dall’eroina che lo sta divorando.
Nel 1985, dopo le recensioni poco favorevoli all’esposizione di 16 tele dipinte insieme, interrompe la collaborazione con Warhol e anche il rapporto con Mary Boone si incrina definitivamente.
Nel 1987 Basquiat vive ritirato nel suo studio di Great Jones Sreet, completamente succube dell’eroina.
Gli amici che lo frequentano ormai sono pochissimi.
Malgrado ciò, in quest’ultimo periodo della sua vita non smetterà mai di dipingere. Anzi dipinge forsennatamente.
A gennaio espone a Parigi, a febbraio succede qualcosa che lo sconvolge profondamente: Andy Warhol muore a seguito delle complicazioni di un banale intervento chirurgico alla cistifellea.
Tutti raccontano che Basquiat è distrutto per la perdita dell’amico che per lui è un punto di riferimento, quasi una forza stabilizzatrice della sua vita.
Continua comunque a dipingere e ad esporre in patria e all’estero e la sua fama è in costante crescita.
Nell’aprile del 1988 tiene la sua ultima personale a New York, le opere sono notevoli anche se piuttosto tetre.
Nell’opera Riding with Dead (A cavallo con la morte) si vede una figura nera a cavallo di uno scheletro che procede a grandi falcate.
La mostra riceve poche recensioni ma provoca la sensazione generale che Basquiat sia tornato quello di prima.
Subito dopo lascia New York e va alle Hawaii per disintossicarsi.
Ha molti progetti, vuole diventare uno scrittore.
“L’ho incontrato per strada” racconta Keith Haring “Era veramente in forma, mi ha detto di essere pulito”.
Niente di più lontano dal vero, Basquiat maschera la sua sofferenza, la disperata solitudine interiore che lo consuma e che cerca di placare con l’eroina.
Il 12 agosto del 1988 muore di overdose nel suo studio di Great Jones Street.
A novembre viene organizzata una commemorazione a Manhattan in cui gli amici leggono poesie e ricordi, la sua vecchia band, i Gray e John Lurie curano il sottofondo musicale.
Profetici risultano i versi di Allen Ginsberg, che a Basquiat calzano alla perfezione:
“Ho visto le menti migliori della mia generazione,
distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche,
trascinarsi per strade di ne*ri all’alba in cerca di droga rabbiosa”
Bibliografia:
Hans Werner Holzwarth “Jean-Michel Basquiat”, ed. Taschen 2020
Leonhard Emmerling “Basquiat”, ed. Taschen 2011
Gianni Mercurio “Basquiat”, Artedossier, Giunti, 2006
Allen Ginsberg, Howl, 1956
In copertina disegno di Cristina Catenacci, “The Same Old Shit”, 2021 (matite su carta 250 grammi)
6 Comments